Un progetto di Alessandro Baricco con la Scuola Holden
Come reinventare un approccio narrativo contemporaneo e spettacolare per valorizzare uno spazio storico di rilievo come l’antico Teatro Olimpico di Vicenza?
È quello che si sono chiesti Alessandro Baricco e la Scuola Holden, frutto di un dialogo con Jacopo Bulgarini d’Elci, vicesindaco di Vicenza, iniziato lo scorso anno a margine dell'esperienza del Palamede portato all'Olimpico dallo stesso Baricco.
Proprio per rispondere a questa domanda è sorta l’idea di inventare da zero un modo emozionante e sperimentale di visitare l’Olimpico, trasformando l’intero teatro in un’esperienza di scoperta spettacolare.
Progettato da Palladio su richiesta dell’Accademia Olimpica, fu inaugurato il 3 marzo 1585 ed è oggi il più antico teatro coperto del mondo. Ma la meraviglia di quest’opera non può essere raccontata nel corso di una semplice visita: merita di trasformarsi in qualcosa di meglio, di diventare una sorta di viaggio di conoscenza, in grado lasciare una traccia indimenticabile in chi lo compie.
Il progetto che Baricco e la Holden stanno immaginando coinvolgerà tutti gli spazi dell’Olimpico (a esclusione delle scene e del palcoscenico: quelli sono off limits, naturalmente, ma diventeranno visitabili virtualmente).
I visitatori faranno un percorso in cui andranno alla scoperta di storie, ascolteranno voci, guarderanno video e immagini. Non ci sarà nulla di noioso e obbligatorio e ogni piccolo pezzo di questa narrazione comporrà un quadro più grande, che metterà in scena il Teatro stesso.
Dal 3 marzo 2017 (data ovviamente non casuale, perché ci ricorda quella del 1585) non sarà più così: già appena entrato il visitatore sarà dentro a un racconto, sin dal primo corridoio, dove la tecnologia gli dirà subito dell’eccezionalità del luogo in cui ci si trova.
Questo nuovo storytelling dell’Olimpico sarà davvero un’esperienza da vivere, dando spazio alla tecnologia e all’interattività. Ma senza dimenticare che le storie, soprattutto se leggendarie, non possono venir tramandate solo da oggetti o strumenti tecnologici, e che sono sempre le persone, le voci e gli sguardi, a lasciare il segno. Così in Odeo (la sala degli accademici) e così nel cosiddetto Vestibolo (la sala dei magnifici fregi monocromi, che noi conosciamo come “antiodeo”, dove è ora il bookshop): prima attraverso degli schermi a scomparsa, poi con degli agevoli device, ogni spazio verrà usato per raccontare storie, offrire approfondimenti, e soprattutto ripercorrere la storia del teatro. Per entrare poi in sala dall’alto delle logge superiori, come si faceva un tempo (e come si farà ovviamente solo per chi non avrà problemi di deambulazione), e lasciarsi prendere da una vista ben più meravigliante di quella attuale.
E tutto avverrà con ordine, ogni trenta minuti, per vivere il teatro in modo persino “spettacolarizzante”, grazie all’uso di una tecnologia semplice, alla portata di tutti, capace persino di farci vedere ciò che sta sopra e sotto e persino dietro i nostri occhi, e che di norma non possiamo vedere.
Senza dire che il progetto è a tutt’oggi in divenire e si sta pensando di portare fuori in giardino il bookshop, dove far terminare “naturalmente” le visite: un nuovo store che, giocato sulle trasparenze, sarà certamente rispettoso del passato ma in egual misura dentro al presente e proiettato al futuro.